Luigi Pirandello (1867-1936)

 

 

 Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 nella villa di campagna chiamata "Il Caos", poco fuori Girgenti (oggi Agrigento). Il padre, Stefano Pirandello, garibaldino durante la spedizione dei Mille, e la madre, Caterina Ricci-Gramitto, erano dei ferventi sostenitori dell'Unità d'Italia.

Dopo essersi diplomato presso l'Istituto Tecnico della sua città natale, nel 1880 si trasferì a Palermo dove, dopo aver conseguito la licenza liceale, s'iscrisse contemporaneamente sia alla Facoltà di Legge sia a quella di Lettere dell'Università cittadina. Nel 1887 si spostò alla Facoltà di Lettere dell'Università a Roma e poi all'Università di Bonn dove si laureò nel 1891 con una tesi sui "Suoni e sviluppi di suono della parlata di Girgenti".

A Bonn, nei primi giorni del 1890, conobbe ad una festa da ballo in maschera Jenny Schulz-Lander, una bellissima ragazza che fu un amore non corrisposto ed uno dei più grandi rimpianti della sua vita, alla quale dedicò il suo secondo volume di poesie, Pasqua di Gea.

 Poi tornò a Roma e nel 1894 sposò a Girgenti Maria Antonietta Portulano che gli diede il figlio Stefano l'anno seguente. Dopo le prime opere di poesia, Mal giocondo (1889), Pasqua di Gea (1891) ed Elegie Renane (1895), scritte in Germania, a Roma collaborò a giornali e riviste con articoli e brevi studi critici e nel 1897 cominciò ad insegnare presso l'Istituto Superiore di Magistero femminile. Nel 1897 e nel 1899 gli nacquero i figli Rosalia (Lietta) e Fausto.

 Nel 1901 pubblicò il romanzo L'esclusa e nel 1902 Il turno. Nel 1903, in seguito all'allagamento della miniera di zolfo del padre, nella quale aveva investito la dote patrimoniale della moglie, fu travolto da un dissesto finanziario e la consorte fu ricoverata in ospedale per una malattia mentale.

Pirandello non poteva più vivere solo di rendita e cominciò a guadagnare col suo romanzo di successo del 1904, Il fu Mattia Pascal. Nel 1908 diventò di ruolo nell'Istituto superiore di Magistero, risolvendo in parte i suoi problemi economici, e pubblicò i saggi L'umorismo e Arte e Scienza, che lo misero in polemica con Benedetto Croce. Nel 1909 iniziò a pubblicare delle novelle sul "Corriere della Sera", in una collaborazione che durò fino alla sua morte nel 1936. Sempre nel 1909 fu la volta del romanzo I vecchi e i giovani e l'anno seguente furono rappresentati i suoi primi lavori teatrali: La morsa e Lumie di Sicilia. Nel frattempo scriveva e pubblicava delle novelle che sarebbero state raccolte in Novelle per un anno.

Il 1915 fu molto doloroso, per la morte della madre, per la partenza del figlio Stefano come volontario per il fronte e per l'entrata in guerra dell'Italia.

 Nel 1916 iniziò la vera stagione teatrale pirandelliana con Pensaci, Giacomino!, Liolà e La ragione degli altri, alle quali seguirono Così è, se vi pare (1917), Il berretto a sonagli, Il piacere dell'onestà, La patente, Il giuoco delle parti, Ma non è una cosa seria, Tutto per bene, La Signora Morli uno e due, fino ai Sei personaggi in cerca d'autore, del 1921, Enrico IV del 1922, Vestire gli ignudi (1922), Ciascuno a suo modo (1924), ecc.

Intanto nel febbraio del 1919 la moglie era stata definitivamente ricoverata in una casa di cura. Nello stesso anno vi furono molte importanti prime teatrali delle sue opere.

Nel 1924 aderì al partito fascista e intorno a quegli anni si godette il trionfo delle rappresentazioni mondiali dei Sei personaggi in cerca d'autore a New York, Londra, Parigi, in Danimarca, Svezia, Ungheria, Finlandia, Lettonia, Jugoslavia e, naturalmente, in Italia.

  Nel 1925 conobbe Marta Abba che diventò la sua nuova compagna. Nel 1926 uscì il suo ultimo romanzo, Uno nessuno centomila, e fondò a Roma, insieme col figlio Stefano, Orio Vergani e Massimo Bontempelli, il Teatro d'Arte, nel quale debuttò Marta Abba, giovanissima interprete e futura musa ispiratrice di alcune commedie, scritte appositamente per lei.

Nel 1930 si recò ad Hollywood per assistere alle recite di Greta Garbo in Come tu mi vuoi. Nel 1934 fu insignito a Stoccolma del premio Nobel per la Letteratura. Morì il 10 dicembre 1936 a Roma in seguito ad una polmonite e fu sepolto nella casa dove era nato 69 anni prima.

Il suo pensiero si basava sul contrasto tra il fluire ininterrotto della “vita” e le “forme” nelle quali l'uomo è costretto a fissarla. L'uomo è prigioniero di schemi e le difficoltà e le passioni lo rendono cosciente della sua estraneità alla natura, agli altri e a se stesso. Il suo teatro e la sua narrativa hanno significato una ribellione contro le forze che imprigionano la più autentica realizzazione della personalità dell’uomo. I suoi personaggi, specie quelli dal carattere grottesco, sfociano sempre nella tragicità e non hanno altro scampo che il delitto o il suicidio, la distruzione di sé o del suo antagonista. Era una concezione di carattere esistenziale che scaturiva da una precisa situazione storica molto disumana, in cui le persone sono sconfitte e, di tanto in tanto, riescono a ribellarsi e ad affermarsi.

Per Pirandello l'individuo è costretto a costruirsi una propria immagine fittizia, per farsi accettare da coloro con cui entra in relazione e per sopravvivere in mezzo alle convenzioni sociali. Da ciò la vasta produzione letteraria di poesie, novelle, romanzi, saggi e drammi teatrali che sono maggiormente sintetizzati nel suo saggio L’Umorismo (1908). Secondo questa poetica dell'umorismo la vita sociale si basa sulla finzione e l'individuo, per non essere emarginato dai suoi simili, deve continuamente ricorrere all’inganno ed indossare una “maschera”; in tal modo, ognuno vive la propria condizione umana in modo frammentario, con mille facce e senza una vera identità. Solo la riflessione umoristica permette di cogliere la vita intima delle persone di là dalle apparenze, ma in questi casi si hanno dei comportamenti imprevedibili che le rendono ridicole. Pirandello risolve tutto con la riflessione, un necessario “sentimento contrario” al riso, con cui si penetra nel reale significato d’ogni menzogna sociale ed “assolve” le persone impegnate nella difficile lotta per l’esistenza.

Nell’enunciare le sue teorie rivoluzionarie, Pirandello si distaccò dalle descrizioni puntuali della realtà del verismo e s’inventò un linguaggio nuovo e diretto, per comunicare l’angoscia e la drammaticità della condizione umana attraverso i suoi personaggi. La sua grandezza artistica risiede appunto nella ricerca di un nuovo linguaggio non legato alle gerarchie sociali, che è raffinato e letterario, ma ricco anche di elementi dialettali, di termini specialistici e di espressioni banali. La scrittura pirandelliana si manifesta nell’immediatezza visiva di gesti e parole dei personaggi protagonisti di una lingua viva, movimentata e drammatica, che recitano il “teatro della vita” con una riuscita sintesi di parole, silenzi, gesti, emozioni, falsità, sincerità, ecc...

 

 

Nicoletta Di Ciano